Foto: Tavola della Pace
Un’escalation di violenza sta investendo la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Israele, dal 10 maggio scorso. Alla recrudescenza del conflitto hanno contribuito una serie di fattori tra cui la sospensione delle tanto attese elezioni in Palestina previste per il 22 maggio, la provocazione di gruppi radicali di coloni israeliani in marcia verso i quartieri palestinesi della città vecchia, seguita dai violenti attacchi della polizia israeliana contro la folla di palestinesi in preghiera alla Spianata delle Moschee, e ancora il viatico concesso ai coloni di espellere i palestinesi dalle loro case in molti quartieri di Gerusalemme Est e specialmente a Sheikh Jarrah. Tutto questo ha generato un aumento delle violenze immediatamente estese in altre città israeliane e palestinesi, fino ai lanci di missili dalla Striscia di Gaza e la vasta azione militare israeliana, in cui a soccombere sono i civili, compresi donne e minori.
COSPE, che lavora in Palestina dalla fine degli anni ’90, sta raccogliendo in questi giorni convulsi e drammatici, testimonianze di partner, palestinesi e israeliani, amici ed ex collaboratori che denunciano la situazione, sempre più insostenibile.
Direttrice di Theater Day Production a Gaza, partner di Cospe dal 2018
Cari amici,
vi ringrazio per le vostre parole di sostegno.
Triste a dirsi, ma l’Eid a Gaza non è affatto tranquilla.
Tutta Gaza è scossa da incursioni aeree ininterrotte. Diversi palazzi sono rasi al suolo. Decine di famiglie sono senzatetto.
Il centro di Gaza City perde il suo profilo, con molti edifici in rovina lungo le strade, e tante persone sono state uccise anche lontano dal centro di Gaza, dentro le loro case.
Ore fa ho visto una foto sui social media: un uomo sulla cinquantina sta piangendo dopo aver perso suo figlio, sua nuora incinta e i suoi quattro nipoti, tutti uccisi da un attacco aereo.
Niente parole e niente più energia per le emozioni.
Oggi, dopo pesanti bombardamenti nel nord di Gaza, diverse famiglie fuggono e cercano rifugio nelle scuole dell’UNRWA.
Nessun posto è sicuro nella Striscia.
Gli ospedali non sono in grado di aiutare i feriti. E tutto questo mentre la pandemia di Covid-19 è in aumento a Gaza.
La vostra solidarietà significa molto per tutti noi. Ci rafforza per restare resilienti.
Tania
Theater Day Production
Palestinese di Gerusalemme, amministratrice paese di Cospe da tanti anni
“Vivo a Silwan, un quartiere a sud di Gerusalemme, situato a poco più di tre chilometri dalla moschea di Al Aqsa e dal centro della città, dove vivono più di 40 famiglie di coloni israeliani.
Dall’inizio delle proteste a Sheikh Jarrah e della dura repressione da parte della polizia israeliana alla Spianata delle Moschee fino ad oggi, la nostre giornate si susseguono allo stesso modo: durante il giorno l’atmosfera è abbastanza tranquilla, ma nella notte la tensione si alza. Alle manifestazioni dei palestinesi in ogni strada seguono il tonfo delle bombe sonore e l’odore dei lacrimogeni lanciati dalla polizia israeliana. La situazione rimane così fino alle prime ore del mattino successivo. Non possiamo muoverci in quanto tutte le strade vengono chiuse e, se io e i miei familiari siamo fuori e dobbiamo tornare a casa, spesso siamo costretti a percorrere strade molto più lunghe e poco sicure.
Ieri un gruppo di coloni ha iniziato a lanciare pietre dal tetto della casa in cui vivono verso i palestinesi del quartiere, i quali li hanno poi confrontati apertamente. Un’altra volta, i lacrimogeni lanciati su un gruppo di giovani palestinesi hanno innescato un incendio che ha bruciato un campo e due automobili. Oggi invece, sin dalle prime ore del mattino, le forze di occupazione hanno arrestato alcuni giovani palestinesi del quartiere con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni degli ultimi giorni.
Io, la mia famiglia, i miei amici, le persone del mio quartiere e tutti i palestinesi che conosco crediamo fermamente che questa terra sia nostra e che abbiamo il diritto di difenderla, nonostante ci stia costando moltissimo. Non abbiamo paura né ci siamo annoiati o stancati di difendere la Palestina e siamo orgogliosi perché il popolo palestinese, da nord a sud, è unito nella lotta all’occupazione.”
Pubblichiamo un ampio stralcio di una lettera inviataci da Roni Ben Efrat, nota attivista e pubblicista israeliana, che ha collaborato con COSPE attraverso Sindyanna of Galilee e il WAC, una cooperativa di commercio equo e solidale e un sindacato di base, in cui israeliani e palestinesi con cittadinanza israeliana operano giornalmente fianco a fianco.
13 Maggio 2021
La resa dei conti è ora
Tra i vari lanci di razzi da Gaza, devo prendere una pausa per analizzare la crisi attuale, mentre lo Stato d’Israele sembra cadere a pezzi. Per tutta la mia età adulta, insieme ai miei colleghi, ho avvertito che questo momento sarebbe arrivato. Ho visto politici sconsiderati e cittadini indifferenti o impauriti da ambo le parti, permettere che l’ingiustizia e la brutalità continuassero senza ostacoli.
L’ingiustizia in Israele e Palestina è iniziata con la conquista del Sionismo, molto prima del 1967.
Ma i 54 anni di occupazione israeliana, la riluttanza ad ammettere i propri crimini e il tentativo di ingannare i palestinesi con gli accordi di Oslo, hanno reso chiare le intenzioni di Israele. La scintilla questa volta è stata il rinnovato tentativo da parte di Israele di trasferire forzatamente delle famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est.
Nella loro miopia, i leader israeliani pensavano che fino a quando la questione palestinese non fosse stata una minaccia strategica per l’esistenza dello Stato d’Israele, avrebbero potuto continuare a governare le vite di 5 milioni di palestinesi senza diritti in Cisgiordania e Gaza, limitando la loro libertà di movimento e condannandoli ad uno stato di povertà. Nella loro miopia, i leader Israeliani hanno creduto che avrebbero potuto sviluppare una nazione hi-tech, ignorando il futuro dei cittadini arabi all’interno dei confini di Israele, che costituiscono un quinto della popolazione. Questo è il contesto in cui l’odio si è alimentato, fornendo un palcoscenico al fanatismo religioso e nazionalista.
Nella sua miopia, in particolar modo, Benjamin Netanyahu ha consolidato la crescita di una forte base razzista, che comprende ebrei religiosi di tutti i tipi, coloni e aperti fascisti, come se la resa dei conti potesse essere rimandata per sempre. Nella sua miopia, la sinistra sionista ha dimenticato e continua a dimenticare il suo dovere di opporsi all’occupazione, scegliendo invece di fare accordi con la destra.
Nella sua miopia, il governo israeliano ha ignorato la conquista delle città, villaggi e quartieri arabi in Israele da parte della criminalità organizzata, non immaginando che la violenza si sarebbe potuta diffondere tra le strade d’Israele. “Lasciateli uccidersi tra di loro” era il loro approccio.
Nella sua miopia, cercando di distruggere qualsiasi voce palestinese liberale e laica, Israele ha sostenuto la nascita di Hamas negli anni Ottanta, pensando che si sarebbe occupata solamente di religione e beneficienza. Ma Hamas, con il suo sogno di uno Stato islamico, è da allora diventato l’unico fattore politico e militare che può irritare Israele. Dal 2008 abbiamo vissuto quattro guerre, che hanno significato solamente lo spargimento di sangue per nulla.
Vorrei poter dare tutta la colpa a Israele. Sfortunatamente, né Hamas né Israele hanno esitato a usare i civili nelle loro guerre. A sua volta, l’Autorità palestinese è volontariamente scivolata nell’irrilevanza. […]
Questa è la situazione. Non possiamo permetterci il lusso di smettere di lottare per la giustizia. Non dobbiamo lottare perché siamo sicuri di vincere, ma perché non abbiamo altra scelta. […]
Noi abbiamo molti anni di ingiustizia da sanare.