Nei Territori Palestinesi Occupati, anche l’archeologia, nel corso degli anni, è divenuta uno strumento di esproprio, colonizzazione e controllo della terra da parte dello Stato di Israele.
I tre casi di Deir Sam’an, Silwan e Susyia raccontati in questa seconda serie di report prodotti da COSPE illustrano l’ampia pratica che Israele, con atti concreti, ha messo in atto in tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est: acquisire il controllo sui siti archeologici e sulle attività archeologiche in maniera unilaterale, espropriando terra ed appropriandosi del patrimonio storico e culturale della popolazione palestinese. Agendo in piena violazione di diversi principi e norme del Diritto Internazionale, Israele ha così reso l’archeologia uno strumento attraverso il quale promuove una narrativa unica ed unilaterale, che legittima la colonizzazione dei Territori Palestinesi.
Il popolo palestinese, separato fisicamente e psicologicamente dal suo patrimonio storico e culturale, viene pertanto privato, oltre che di risorse culturali, naturali, ambientali ed economiche, anche della sua stessa storia. In una situazione quale quella attuale, caratterizzata da un regime di colonialismo di insediamento e di occupazione militare che si protrae da più di cinque decenni, nel colpevole silenzio della comunità internazionale, continua la graduale ed inesorabile spoliazione di propri diritti del popolo palestinese ed allo sradicamento delle proprie radici.
Masa ha appena compiuto cinque anni. Da poco la sua famiglia si è trasferita nella loro nuova casa, nonostante fosse ancora in costruzione e mancassero ancora i muri al primo piano. I suoi genitori, però, non hanno avuto altra scelta.
La famiglia di Masa vive a Bruqin, un villaggio palestinese nel governatorato di Salfit, situato a nord della Cigiordania. La loro vecchia casa era stata costruita nella valle di Al-Matwa, un’area fertile e verde, perfetta per far crescere dei bambini ed una famiglia, ricorda Mai, la madre di Masa. “Dal 2015, le condizioni di vita nella nostra vecchia casa sono diventate insopportabili”.
Un ininterrotto flusso di acque di scarico provenienti dalle vicine colonie e dai complessi industriali israeliani di Ariel e Barkan e riversati nella valle di Al-Matwa per anni hanno reso l’ambiente insalubre e di fatto invivibile.
La costante presenza di mosche e di altri insetti, il cattivo odore, il continuo flusso di acque di scarico nelle terre coltivate vicine, l’inquinamento dei terreni, la morte delle piante hanno avuto un forte impatto negativo sulla qualità della vita e sulle condizioni di salute dei cittadini di Bruqin e dei membri della famiglia di Masa, spingendoli a lasciare la propria casa e le terre circostanti. E non sono stati gli unici.
La loro storia, in realtà, rappresenta una situazione diffusa in diverse zone della Cisgiordania, un destino che accomuna moltissime altre famiglie e comunità e che racconta di violazioni dei diritti umani fondamentali di un’intera popolazione.
Parte del Governatorato di Salfit nel nord della Cisgiordania, Wadi Qana è una valle fertile, ricca di risorse naturali, situata nei pressi del villaggio pa- lestinese di Deir Istiya. Si estende per 1.400 km², 229 dei quali in Cisgiordania, con una popolazione di quasi 180.000 palestinesi e più di 58.000 coloni israeliani. Un tempo luogo di floride attività agrico- le; oggi, a seguito dell’occupazione militare israe- liana dei Territori Palestinesi, pochissimi agricoltori palestinesi sono attivi nell’area.
La presenza e l’espansione di colonie e avamposti israeliani intorno a Wadi Qana ha avuto un impatto estremamente negativo sulla qualità e la quantità di acqua disponibile per le comunità palestinesi nell’area. Infatti, da un lato, le autorità israeliane hanno attinto alle fonti d’acqua per servire le co- munità di coloni in continua espansione, mentre, dall’altro, hanno distrutto il sistema di irrigazione usato dai palestinesi. Inoltre, le falde acquifere sono state pesantemente contaminate dalle acque reflue, scaricate dalle colonie direttamente sulle terre palestinesi.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordi- namento degli Affari Umanitari (UN-OCHA), l’isti- tuzione di un sito turistico e di una riserva naturale da parte delle autorità israeliane hanno impedito qualsiasi sviluppo delle attività delle comunità pa- lestinesi, favorendo la costruzione e l’espansione di infrastrutture e servizi ad uso esclusivo dei coloni e dei cittadini israeliani.
Molte famiglie palestinesi sono state, quindi, co- strette a lasciare la valle, private dei loro diritti fondamentali, tra cui l’inalienabile, permanente e incondizionato diritto all’autodeterminazione.